martedì 31 dicembre 2024

Il saluto all'anno che va via e il benvenuto al 2025

 Per salutare l'anno che sta per finire e dare il benvenuto all'anno nuovo, una piccola delegazione di soci del Dopolavoro Filellenico si è incontrata lunedì 30 dicembre, alla vigilia di san Silvestro, per scambiarsi un'ultima volta nel 2024 gli auguri buon anno e l'auspicio di sempre più interessanti prossime attività associative. Davanti ad una tazza di caffè, cioccolata o tisana calda, i soci hanno raccontato le proprie aspettative e le speranze per il nuovo anno, programmando incontri e possibili nuove e interessanti attività.



domenica 15 dicembre 2024

La strenna di Natale 2024 del Dopolavoro Filellenico

 È stata distribuita ai soci e agli ospiti presenti alla festa per lo scambio degli auguri di Natale e di fine anno 2024, la tradizionale strenna natalizia dell'associazione filellenica tarantina. La cartolina disegnata quest'anno vuol rappresentare un albero di Natale fatto di libri, un augurio che attraverso la lettura, in particolare dei testi di autore greco o relativi comunque alla cultura, alla civiltà, alla lingua greca, che sono presenti nella biblioteca associativa del Dopolavoro Filellenico, e che possono essere letti e sfogliati dai soci.

Un invito alla lettura e alla crescita umana attraverso il mezzo del testo librario che l'associazione persegue ormai da molti anni, avendo raccolto nella propria piccola biblioteca un numero importante, anche se non cospicuo di testi importanti per aiutarsi a conoscere meglio la grecità nella forma scritta.

martedì 10 dicembre 2024

Il testo della relazione di Marisa Terzulli su «Eubea. L'ultima danza delle gru»

Condividiamo di seguito il testo della personale lettura proposta dalla prof.ssa Marisa Terzulli sul romanzo del prof. Dimitris Roubis «Eubea. L'ultima danza delle gru», del quale il Dopolavoro Filellenico ha dato pubblica presentazione alla presenza dell'autore. Organizzata in collaborazione con la Società Filellenica Italiana, con il patrocinio morale del Consolato Onorario di Grecia per Brindisi, Lecce e Taranto alla presenza della Console, avv. Antonella Mastropaolo, la conversazione è stata moderata dal presidente del Dopolavoro Filellenico, prof. Giancarlo Antonucci. Pagine scelte del romanzo sono state lette dalle studentesse Beatrice Macripò e Martina Marinelli. Alla fine della relazione è seguito un interessante dibattito dell'autore con il pubblico.


La storia si svolge nella primavera del 1944, sull'isola greca di Eubea, dove all'età di 23 anni il protagonista Panaiòtis, viene inserito nella lista dei ricercati perché nel settembre precedente aveva aiutato dei soldati italiani a nascondersi dopo l'armistizio. 
Quando lo viene a sapere da un gruppo di ragazzi del suo paese, non può fare altro che seguire gli amici in montagna dove incontrano i partigiani comandati da Diomede, che fa distribuire a tutti uno zaino pesante per rifornimenti e munizioni oltre a indumenti adatti ad affrontare il freddo a cui andranno incontro.

Riprende così la salita della montagna, irta di difficoltà soprattutto per il giovane protagonista, che era dovuto fuggire con gli abiti e le scarpe indossati per andare a messa, tanto che ben presto le pietre e le fenditure del terreno gli causano ferite e dolori. Come rimpiange di non aver portato con sé l'asinello Nìskos, sicuramente utilissimo in quei terreni scoscesi! E ricorda che alcuni anni addietro gli aveva salvato la vita attirando l'attenzione dei familiari quando era caduto in un fosso: «Dalla sua bocca uscì una voce così forte, come un grido, come se non stesse vociando un animale, ma un uomo, e fu così assordante che sconvolse metà paese....» E quando il ragazzo si riprese: «Poi fui sorpreso di vedere due grosse lacrime scendere dai suoi occhietti obliqui e bagnare la terra battuta, esprimendo quello che, per gli standard umani, sembrava un segno di tristezza, o forse anche di gioia. Non l'avrei mai capito.» Sono descrizioni splendide e poetiche dell'affetto che lega l'asinello al suo padrone che lo ha accarezzato in segno di riconoscenza.


Durante le soste dovute ad avverse condizioni atmosferiche, il giovane Panaiòtis racconta tradizioni e miti trascritti nel suo inseparabile taccuino e, mentre infuria il forte vento del nord, chiamato dagli antichi Borea, legge le parole del grande poeta Esiodo nato in Beozia: «Le giornate sono tutte così cattive da scorticare i buoi; guardati dalle gelate che sulla terra diventano moleste coi soffi di Borea, provenienti dalla Tracia, nutrice di cavalli; Borea soffia precipitando verso l'ampio mare...gemono la terra e i boschi...» E spiega il proverbio popolare “marzo scorticatore e perfido brucia pali” con la necessità di ricorrere ai pali delle recinzioni durante il mese di marzo particolarmente rigido, in cui è stata consumata tutta la legna per accendere il fuoco.

Subito dopo il vento si calma e appaiono in cielo nuvole bianche indici di una imminente nevicata. Gli antichi pensavano che Chione (nome greco della neve) fosse una ragazza bellissima nata da una Oceanina e da un fiume, ma costretta a vivere con un contadino violento che la torturava in continuazione, fino a quando gli dei, impietositi, la innalzarono al cielo tra le nuvole e, da allora, Chione si vendica coprendo con i suoi fiocchi i raccolti degli agricoltori.
Qui la natura diventa nemica, costringendo i giovani a trovare un riparo in grotte o anfratti. Ma non possono sostare a lungo perché inseguiti dai famigerati Battaglioni di Sicurezza, greci collaboratori delle truppe di occupazione naziste. Prima vittima è Fànis, il più giovane del gruppo che, tornando a casa per soccorrere la madre gravemente malata, con il suono del pandùri e la sua voce melodiosa, ha attirato l'attenzione di quegli uomini malvagi. Il destino tragico del ragazzo sembra l'epilogo della sua musica «Il canto di Erigone», la giovane e bellissima figlia di un ricco ateniese, Icario, che ospitò Dioniso quando il dio discese ad Atene per donare agli uomini la vite e il vino. Dioniso regalò al suo ospite un otre di vino che Icario fece assaggiare ai suoi vicini, ma questi, una volta ubriachi, pensarono di essere stati avvelenati e lo uccisero a bastonate. Quando Erigone trovò il cadavere del padre abbandonato ai piedi di un albero, per il dolore s'impiccò ad un ramo di esso. In seguito il dio Dioniso, impietosito, la trasformò nella costellazione della Vergine.

Dopo questa allucinante esperienza della morte di Fànis, Panaìotis e l'amico Livio che gli era rimasto accanto vengono informati da un contadino che i Battaglioni di Sicurezza occupavano ancora il loro paese.

Il romanzo a volte ci tiene col fiato sospeso, altre volte l'autore lascia spazio alla riflessione e al sogno, spesso anticipatore di eventi futuri. Molto accurate le capacità descrittive della natura e degli uomini e colpisce soprattutto la bontà del popolo greco che, lungi dal provare odio per l'ingiusta occupazione subìta dagli italiani, offre loro ospitalità quando sono in pericolo. Dopo l'8 settembre, molti soldati si erano rifugiati in montagna e avevano distribuito buona parte dell'armamento italiano nelle mani dei partigiani. All'arrivo della Wehrmacht, parte delle truppe italiane si arrese ai tedeschi con la promessa di ritornare in Italia, e invece fu mandata in mare a Salonicco e da lì in treno nei campi di prigionia sparsi in Europa.
L'incontro con i partigiani e gli italiani rifugiatisi tra loro segna la svolta nella vita dei ragazzi vissuti fino a pochi mesi prima nel paese d'origine, all'interno delle proprie famiglie, così la storia di questi personaggi si interseca con la Storia più generale che, alla fine, sottoponendoli a privazioni, paure e sacrifici continui, li cambierà completamente.
Dai racconti del padre, dalle fotografie in bianco e nero, da alcune pagine di diario, Dimitris ha tratto l'ispirazione per scrivere questo romanzo e, secondo Fabiano Massimi, autore di «Le furie di Venezia» sulla vicenda di Ida Delser, la donna prima amata follemente e poi ripudiata da Benito Mussolini, «il romanzo storico è il genere di oggi: nell'epoca del rumore, dove tutto perde peso, abbiamo bisogno di recuperare la memoria».
Ma il romanzo offre vari piani di lettura e molti sono i protagonisti della vicenda, da Panaiòtis, i genitori e gli amici, all'isola di Eubea con la sua natura incontaminata e agreste, a una guerra disumana e logorante, alle tradizioni e alla religione fortemente sentite, ai collegamenti col mito e l'antichità classica.

Percorrendo la foresta del monte Dirfi, i ragazzi incontrano un gigantesco tasso il quale, con i suoi rami velenosi, viene paragonato alla dea Artemide che usava le frecce avvelenate per punire i nemici, mentre più avanti la vista di un frassino richiama la nascita di Zeus che, allevato a Creta sul monte Ida dalla ninfa Adrastea, quando divenne il re degli dei, fece unire la sua nutrice agli alberi di frassino, cioè le sorelle Meliadi.

Illuminante a questo riguardo il pensiero espresso dal caro amico e più volte nostro relatore Francesco Colafemmina, classicista e filelleno, nell'opera recente «Salviamo i classici»: "la luce dei riferimenti perenni continua ad illuminare l'umanità in ogni epoca buia, attraverso la saggezza, la virtù e l'analisi della bellezza che ci riscatta dalla provvisorietà della materia".

Emblematico l'episodio in cui il protagonista, al suo ritorno nella casa paterna, trova insediato un ufficiale tedesco, intento a sfogliare L'Anabasi di Senofonte poiché prima della guerra era filologo in Germania e insegnava greco antico.

Gli appare subito un personaggio pieno di contraddizioni: “da un lato la sete di conoscenza, la nostalgia della vita prebellica e il suo interesse per la vita quotidiana degli altri; dall'altro lato, la guerra e l'occupazione, gli ordini severi, il dovere militare e il fanatismo ideologico...”

Mentre condividono lo scarso cibo disponibile, il militare osserva con attenzione due icone raffiguranti una i santi medici Cosimo e Damiano, l'altra i santi Demetrio e Giorgio che avanzano a cavallo con i volti illuminati dalle aureole. Ai primi due i cristiani affidano le loro speranze per affrontare malattie e disgrazie, gli altri due santi sono venerati dagli allevatori di bestiame.

Forse per l'incapacità di comprendere un mondo così lontano dalle sue convinzioni, l'ufficiale decide di osservare meglio il secondo quadro che ripone nella sua cartella. Ma subito dopo due soldati tedeschi portano un messaggio all'autista del maggiore che comunica la sua immediata partenza. A Panaiòtis non resta che il rammarico per l'ulteriore sottrazione di un bene di famiglia.

Diversi anni dopo, negli uffici comunali del paese arriverà dalla Germania occidentale una busta contenente l'icona dei santi cavalieri ritenuta persa per sempre con dietro, scritta a matita, una sola parola in lettere maiuscole: EFCHARISTO' (grazie).

Nei mesi successivi alla partenza dei tedeschi, la vita riprende con grandi privazioni: la madre crea un piccolo orto e Panaiòtis si occupa dei lavori pesanti in casa e nei campi. Dopo la maturazione, le uve sono pigiate per il mosto, viene pulita la botte ed il vino rimasto è imbottigliato per fare l'aceto, poi il giovane, seguendo le istruzioni di un foglietto scritto dal nonno con le porzioni e il metodo per fare la retsìna, aggiunge al mosto l'acqua necessaria e le piante aromatiche e alla fine della bollitura sigilla la botte con la cera d'api. Era un metodo risalente ai tempi antichi e usato anche nell'Italia meridionale, utilizzando la resina di pino per rivestire e profumare le giare e conservare meglio la bevanda.
Al ritorno a casa dopo otto mesi di prigione, il padre del protagonista appare del tutto irriconoscibile. Dal suo tragico racconto emerge che, dopo essere stato imprigionato ad Atene, nel corso di vari spostamenti si era ammalato per due volte, salvandosi solo grazie alla liberazione di ottobre del '44. Eppure quando incontrerà il suo carceriere, Ixìonis, un compaesano che si era unito al Battaglione di Sicurezza, potrebbe farlo uccidere, ma preferisce abbandonarlo al suo destino.

Molto poetico l'epilogo in cui il protagonista ormai centenario, rimasto solo, si reca col suo bastone in chiesa dove immagina di rivedere gli amici che non ci sono più, come Fànis con il suo pandùri circondato da una piccola orchestra di musicisti che iniziano a suonare, mentre gli altri seguono la musica danzando in cerchio con le braccia intrecciate come gli antichi greci, quando imitavano nella danza il passaggio delle gru, gli uccelli migratori.
Con la bellissima descrizione della danza, che ancora oggi viene praticata in Grecia, si conclude questo romanzo che, pur trattando eventi realmente accaduti durante la seconda guerra mondiale, affonda le sue radici nei tempi antichi attraverso i racconti mitici del protagonista che lo aiutano ad affrontare le vicissitudini del presente.


Le foto sono di Alessandra Carpino, Franca Poretti, Beatrice Macripò e Daniela Rotondo che ringraziamo.





domenica 8 dicembre 2024

Presentato a Taranto il libro di Dimitris Roubis

 Buon successo di pubblico, con una discreta e molto interessata partecipazione, ha riscosso la presentazione a Taranto, nella sede g.c. della Banca di Taranto, del libro «Eubea. L'ultima danza delle gru» dell'archeologo prof. Dimitris Roubis per iniziativa congiunta del Dopolavoro Filellenico e della Società Filellenica Italiana, con il patrocinio morale del Consolato Onorario di Grecia per Brindisi, Lecce e Taranto. Affidata alla socia del Dopolavoro Filellenico, prof.ssa Marisa Terzulli, la personale interpretazione delle vicende raccontate nel romanzo hanno coinvolto il pubblico presente. Particolarmente graditi la presenza e l'intervento di saluto della Console Onoraria di Grecia, avv. Antonella Mastropaolo, che ha ringraziato l'associazione per la sua opera di divulgazione della lingua, della cultura e della civiltà ellenica.

Intervistato, poi, dal presidente del Dopolavoro Filellenico, prof. Giancarlo Antonucci, l'autore ha raccontato la genesi e la realizzazione della sua opera che racconta le tristi vicende della fuga del suo genitore, Panaghiòtis, sulle aspre montagne dell'isola di Eubea negli anni dell'occupazione tedesca in Grecia per la Seconda Guerra Mondiale, con continui riferimenti al mito e alle figure che nell'antichità erano protagoniste di quei luoghi.

La serata è stata arricchita dalla lettura di alcuni passi del testo ad opera delle giovani alunne del liceo classico Ferraris - Quinto Ennio, Beatrice Macripò e Martina Marinelli e si è conclusa con un articolato e vivace dibattito.

Di seguito la registrazione dell'evento:



LA CANZONE DEL GRUPPO - ΚΑΠΟΥ ΘΑ ΣΥΝΑΝΤΗΘΟΥΜΕ

Abbiamo scelto questa canzone perché in qualche modo ci rappresenta, anche se è una condizione piuttosto comune a molti nella nostra epoca. Anche noi quando dobbiamo riunirci, per un motivo o per l'altro, per impegni di uno o dell'altro, troviamo difficile se non impossibile incontrarci. Inoltre è cantata da un gruppo di bravi artisti affiatati che speriamo possano portare fortuna alla nostra associazione. Cliccando qui possiamo trovare il testo e la traduzione in italiano