La giornalista tarantina Alessandra Carpino ha seguito con vivo interesse e intensa partecipazione la video conferenza di Maurizio De Rosa da Atene dedicata alle prose di Kostantinos Kavafis. Il resoconto acuto e completo che ha voluto regalarci è denso di filellenica condivisione.
Ancora echi della prima poesia della nostra vita che per un istante ritornano, come musica lontana che si spegne nella notte...
Grazie Alessandra
“Sono state scoperte nuove poesie, in stato embrionale o incompiute, altre riscritte dal Poeta persino dopo la stampa - ha rivelato il filologo milanese - Circa le prose, sono ancora in corso molteplici ricerche. Ed è spuntato anche un epistolario di Kavafis con l’inglese Forster. Insomma, una sorta di “work in progress”.
La raccolta è definita dal suo curatore come “un piccolo zibaldone di poetica, una selezione di prose che aprono uno squarcio sul lato oscuro della creatività di Kavafis, sulla sua personalità che poi “diventa poesia”. Maurizio De Rosa ha esplicitato alcune peculiarità del Konstantinos Kavafis “artista e uomo”, rintracciabili nei suoi stessi componimenti. “Non era un poeta “apolitico” - ha spiegato l’autore - Non nutriva forse particolare passione per tale settore, ma si rivela più vasto, nobile, attento alle sollecitazioni ed alle preoccupazioni del suo tempo”. Interventi di matrice giornalistico-pubblicistica, quelli del poeta della diaspora ellenica: ne “La questione cipriota”, Kavafis “prende posizione con coraggio, in un certo senso anche contro l’Inghilterra che colonizzò l’isola di Cipro - ha precisato De Rosa - E l’Inghilterra era il suo paese di riferimento”. Fortissimo il legame con la madrepatria greca, “conosciuta” relativamente tardi dal Poeta: “Come si evince dal Diario, il primo viaggio ad Atene avvenne nel 1903, e fu una rivelazione - ha spiegato lo studioso lombardo - Kavafis era appassionato della “grecità” ed amante dello stato greco. Il premio ufficiale conferitogli prima di morire fu criticato, poiché la nazione ellenica versava in un periodo turbolento, in un regime dittatoriale, quindi liberticida e tutt’altro che democratico”.
Il gusto di Konstantinos Kavafis per il mistero del dettaglio e per la semplicità della quotidianità stessa affiora da altri elaborati sulla descrizione di Atene ed altre poleis: “Una lettura godibile, quasi una moderna guida Michelin - ha confidato De Rosa - L’occhio di Kavafis è esclusivamente urbano: non gli interessa la natura, si concentra sulla città. Ed al mare del Pireo, foriero di clima caldo ed umido, preferisce il fresco del centro storico della “piccola capitale” Atene”.
Non riesce ad accettare la “conciliazione” personale dei ruoli di impiegato e di poeta, l’alessandrino: lo confessa nella prosa “Alla luce del giorno”. “Operatore culturale ad Alessandria, affiancava l’ufficio - ha specificato De Rosa - Nutre difficoltà a vivere la dicotomia fra libertà dell’arte e necessità di lavorare. Vantava nobili discendenze, ma doveva anche fronteggiare gli ostacoli di natura economica”.
Kavafis anticonformista, controcorrente. “Nel suo modo d’amare, ma anche nell’essere rispettoso delle convenzioni - ha professato l’autore - Non sceglie il “maledettismo”, afferma semmai che “nulla è inutile”. E’ un mito del Novecento poetico europeo, oggetto d’imitazione per i poeti di tutto il mondo”.
Dall’atmosfera sensuale insita ne “Il reggimento del piacere”, alla riflessione sul fluire del tempo ne “Le Vesti”, argomento, quello della vecchiaia e del rimpianto di un passato composto solo di ricordi, che gli sta molto a cuore; dalle questioni linguistiche all’ammissione di rigenerazione di termini cosiddetti “obsoleti”, svegliati da “sonno lungo” attraverso uno stile potente o sottile.
Il viaggio nell’essenza artistica di Konstantinos Kavafis non può che continuare.
Ancora echi della prima poesia della nostra vita che per un istante ritornano, come musica lontana che si spegne nella notte...
Grazie Alessandra
KAVAFIS
E LA TARANTO CHE SI DIVERTE
Maurizio
De Rosa presenta in anteprima nel capoluogo ionico “Note di poetica
e di morale e altre prose”
Un’anteprima
che è evento ed omaggio. A Taranto, già cinta dell’alloro di
“capitale della Magna Grecia”. Perché è stato nel capoluogo
ionico, in videoconferenza diretta da Atene, che Maurizio De Rosa,
filologo e traduttore emigrato nella madrepatria ellenica, ha
illustrato il suo ultimo lavoro, “Note
di poetica e di morale e altre prose”,
raccolta interamente dedicata a Konstantinos P. Kavafis, intrigante
figura artistica di inizio Novecento.
La presentazione in “prima nazionale” nella Città dei Due Mari è stata promossa dall’opera appassionata del Dopolavoro Filellenico di Taranto, e si è consumata presso l’Aula Magna del Liceo classico “Quinto Ennio”, lo scorso 6 febbraio.
Raffinato e realistico (anzi, “iper-realistico”, come amava definirsi al cospetto degli amici e colleghi Giuseppe Ungaretti e Filippo Tommaso Marinetti, che lo annoveravano fra gli adepti della corrente del Futurismo), dissacrante quanto incredibilmente attuale, sensuale e concreto, Konstantinos Kavafis è tuttora oggetto di studi, filologici e contenutistici, e schiude ad orizzonti perennemente nuovi ed evolutivi.
Così si “scopre” come Taranto avesse ispirato la sua “prima lirica”, intitolata appunto “I tarantini si divertono”. La digressione è incastonata nell’Appendice IV del volume: il riferimento è alla recensione firmata da Grigorios Xenopoulos, il quale confidò di aver letto in un almanacco tale poesia. “Consisteva nel ritratto appena abbozzato di un popolo dedito esclusivamente ai divertimenti sotto la minaccia dei suoi tiranni”, scriveva il recensore greco. Apparteneva alla categoria delle cosiddette “poesie rifiutate”, quella sui tarantini giocosi: sintomatico di un’atipica “inquietudine stilistica” che ha accompagnato l’operatività stessa di Kavafis. Una sorta di “labor limae” esasperato, applicato sin dalla genesi stessa dei suoi componimenti: “Kavafis scriveva e distribuiva in foglietti vaganti, ed era incline a modificare costantemente i suoi scritti, per ragioni estetiche, poetiche o concettuali- ha spiegato il filologo Maurizio De Rosa- Molte tematiche possiedono le caratteristiche del percorso seguito dall’autore stesso”. Esamina due filoni essenziali a qualificare l’attività del Poeta: spaziale e temporale. Il primo s’identifica in quella “grecità” acquisita da Kavafis lontano dalla madrepatria stessa: “Il Poeta era un “greco della diaspora”, nato ad Alessandria d’Egitto, vissuto anche a Londra - ha ricordato lo studioso milanese De Rosa - La sua è una “grecità al limite”, assimilata fuori dalla Grecia stessa, sulla quale hanno influito le sollecitazioni e gli spunti di altre culture. Rielaborare equivaleva ad un atto spontaneo”.
Substrato culturale eterogeneo e propizio, quello di Konstantinos Kavafis, il quale “non specifica l’epoca in cui si sviluppa la vicenda dei tarantini che si divertono, ma allude all’incombenza degli invasori - ha continuato De Rosa nella sua analisi - L’epoca preferita dal Poeta è quella della grecità ellenistica e bizantina, che si svolge sostanzialmente fuori dalla Grecia classica: centri magnifici come Atene, Sparta, Corinto diventano “marginali”, subiscono una “decadenza”, a favore della fioritura ad Alessandria D’Egitto, appunto, ma anche a Taranto, Siracusa, Pergamo”.
Nella poesia pionieristica della sua produzione, Taranto appariva come un “tòpos” di città dedita ai piaceri: “affetta da una sorta di oblio auto-catastrofico - ha commentato Maurizio De Rosa - Nel momento in cui si sta divertendo, sta per tramutarsi in vittima, per l’imminente avvento della tirannide”. “L’atmosfera di attesa si traduce in una sfrenatezza che non ha domani - ha continuato il filologo - I tarantini descritti da Kavafis sembrano non preoccuparsi del destino, lo delegano ad altri, con esiti che si riveleranno catastrofici. La raffinatezza, in tal senso, diventa “principio di decadenza”. Rende giustizia la traduzione operata in italiano da Nicola Crocetti, nella quale si evince la predilezione dell’ecumene tarantina per “stravizi, lussuria, gare di atleti e di sofisti”.
Propensione edonistica della cultura, del gusto, del corpo, scevra da ogni oppressione escatologica; la metafora più incisiva e vera riguarda Dioniso e le sue libagioni: “non c’è zolla di terra che non sia imbevuta”, insiste Crocetti nella traslazione kavafiana. “Fanno baldoria i tarantini - si legge - Ed ogni barbara toga al suo partire pare una nube, annuncio di bufera”.
Konstantinos
Kavafis autore di testi in prosa: quasi un unicum.
L’archivio del poeta alessandrino promette di dispensare ancora
sorprese, previo studio capillare e costantemente incentivato da
parte degli specialisti nel settore. Attraverso l’edizione di “Note
di poetica e di morale e di altre prose”, Maurizio De Rosa offre al
pubblico una prima raccolta sistematica degli elaborati prosaici di
Kavafis: la vasta antologia del Poeta è ora custodita nella sede
della fondazione Onassis ad Atene. La presentazione in “prima nazionale” nella Città dei Due Mari è stata promossa dall’opera appassionata del Dopolavoro Filellenico di Taranto, e si è consumata presso l’Aula Magna del Liceo classico “Quinto Ennio”, lo scorso 6 febbraio.
Raffinato e realistico (anzi, “iper-realistico”, come amava definirsi al cospetto degli amici e colleghi Giuseppe Ungaretti e Filippo Tommaso Marinetti, che lo annoveravano fra gli adepti della corrente del Futurismo), dissacrante quanto incredibilmente attuale, sensuale e concreto, Konstantinos Kavafis è tuttora oggetto di studi, filologici e contenutistici, e schiude ad orizzonti perennemente nuovi ed evolutivi.
Così si “scopre” come Taranto avesse ispirato la sua “prima lirica”, intitolata appunto “I tarantini si divertono”. La digressione è incastonata nell’Appendice IV del volume: il riferimento è alla recensione firmata da Grigorios Xenopoulos, il quale confidò di aver letto in un almanacco tale poesia. “Consisteva nel ritratto appena abbozzato di un popolo dedito esclusivamente ai divertimenti sotto la minaccia dei suoi tiranni”, scriveva il recensore greco. Apparteneva alla categoria delle cosiddette “poesie rifiutate”, quella sui tarantini giocosi: sintomatico di un’atipica “inquietudine stilistica” che ha accompagnato l’operatività stessa di Kavafis. Una sorta di “labor limae” esasperato, applicato sin dalla genesi stessa dei suoi componimenti: “Kavafis scriveva e distribuiva in foglietti vaganti, ed era incline a modificare costantemente i suoi scritti, per ragioni estetiche, poetiche o concettuali- ha spiegato il filologo Maurizio De Rosa- Molte tematiche possiedono le caratteristiche del percorso seguito dall’autore stesso”. Esamina due filoni essenziali a qualificare l’attività del Poeta: spaziale e temporale. Il primo s’identifica in quella “grecità” acquisita da Kavafis lontano dalla madrepatria stessa: “Il Poeta era un “greco della diaspora”, nato ad Alessandria d’Egitto, vissuto anche a Londra - ha ricordato lo studioso milanese De Rosa - La sua è una “grecità al limite”, assimilata fuori dalla Grecia stessa, sulla quale hanno influito le sollecitazioni e gli spunti di altre culture. Rielaborare equivaleva ad un atto spontaneo”.
Substrato culturale eterogeneo e propizio, quello di Konstantinos Kavafis, il quale “non specifica l’epoca in cui si sviluppa la vicenda dei tarantini che si divertono, ma allude all’incombenza degli invasori - ha continuato De Rosa nella sua analisi - L’epoca preferita dal Poeta è quella della grecità ellenistica e bizantina, che si svolge sostanzialmente fuori dalla Grecia classica: centri magnifici come Atene, Sparta, Corinto diventano “marginali”, subiscono una “decadenza”, a favore della fioritura ad Alessandria D’Egitto, appunto, ma anche a Taranto, Siracusa, Pergamo”.
Nella poesia pionieristica della sua produzione, Taranto appariva come un “tòpos” di città dedita ai piaceri: “affetta da una sorta di oblio auto-catastrofico - ha commentato Maurizio De Rosa - Nel momento in cui si sta divertendo, sta per tramutarsi in vittima, per l’imminente avvento della tirannide”. “L’atmosfera di attesa si traduce in una sfrenatezza che non ha domani - ha continuato il filologo - I tarantini descritti da Kavafis sembrano non preoccuparsi del destino, lo delegano ad altri, con esiti che si riveleranno catastrofici. La raffinatezza, in tal senso, diventa “principio di decadenza”. Rende giustizia la traduzione operata in italiano da Nicola Crocetti, nella quale si evince la predilezione dell’ecumene tarantina per “stravizi, lussuria, gare di atleti e di sofisti”.
Propensione edonistica della cultura, del gusto, del corpo, scevra da ogni oppressione escatologica; la metafora più incisiva e vera riguarda Dioniso e le sue libagioni: “non c’è zolla di terra che non sia imbevuta”, insiste Crocetti nella traslazione kavafiana. “Fanno baldoria i tarantini - si legge - Ed ogni barbara toga al suo partire pare una nube, annuncio di bufera”.
“Sono state scoperte nuove poesie, in stato embrionale o incompiute, altre riscritte dal Poeta persino dopo la stampa - ha rivelato il filologo milanese - Circa le prose, sono ancora in corso molteplici ricerche. Ed è spuntato anche un epistolario di Kavafis con l’inglese Forster. Insomma, una sorta di “work in progress”.
La raccolta è definita dal suo curatore come “un piccolo zibaldone di poetica, una selezione di prose che aprono uno squarcio sul lato oscuro della creatività di Kavafis, sulla sua personalità che poi “diventa poesia”. Maurizio De Rosa ha esplicitato alcune peculiarità del Konstantinos Kavafis “artista e uomo”, rintracciabili nei suoi stessi componimenti. “Non era un poeta “apolitico” - ha spiegato l’autore - Non nutriva forse particolare passione per tale settore, ma si rivela più vasto, nobile, attento alle sollecitazioni ed alle preoccupazioni del suo tempo”. Interventi di matrice giornalistico-pubblicistica, quelli del poeta della diaspora ellenica: ne “La questione cipriota”, Kavafis “prende posizione con coraggio, in un certo senso anche contro l’Inghilterra che colonizzò l’isola di Cipro - ha precisato De Rosa - E l’Inghilterra era il suo paese di riferimento”. Fortissimo il legame con la madrepatria greca, “conosciuta” relativamente tardi dal Poeta: “Come si evince dal Diario, il primo viaggio ad Atene avvenne nel 1903, e fu una rivelazione - ha spiegato lo studioso lombardo - Kavafis era appassionato della “grecità” ed amante dello stato greco. Il premio ufficiale conferitogli prima di morire fu criticato, poiché la nazione ellenica versava in un periodo turbolento, in un regime dittatoriale, quindi liberticida e tutt’altro che democratico”.
Il gusto di Konstantinos Kavafis per il mistero del dettaglio e per la semplicità della quotidianità stessa affiora da altri elaborati sulla descrizione di Atene ed altre poleis: “Una lettura godibile, quasi una moderna guida Michelin - ha confidato De Rosa - L’occhio di Kavafis è esclusivamente urbano: non gli interessa la natura, si concentra sulla città. Ed al mare del Pireo, foriero di clima caldo ed umido, preferisce il fresco del centro storico della “piccola capitale” Atene”.
Non riesce ad accettare la “conciliazione” personale dei ruoli di impiegato e di poeta, l’alessandrino: lo confessa nella prosa “Alla luce del giorno”. “Operatore culturale ad Alessandria, affiancava l’ufficio - ha specificato De Rosa - Nutre difficoltà a vivere la dicotomia fra libertà dell’arte e necessità di lavorare. Vantava nobili discendenze, ma doveva anche fronteggiare gli ostacoli di natura economica”.
Kavafis anticonformista, controcorrente. “Nel suo modo d’amare, ma anche nell’essere rispettoso delle convenzioni - ha professato l’autore - Non sceglie il “maledettismo”, afferma semmai che “nulla è inutile”. E’ un mito del Novecento poetico europeo, oggetto d’imitazione per i poeti di tutto il mondo”.
Dall’atmosfera sensuale insita ne “Il reggimento del piacere”, alla riflessione sul fluire del tempo ne “Le Vesti”, argomento, quello della vecchiaia e del rimpianto di un passato composto solo di ricordi, che gli sta molto a cuore; dalle questioni linguistiche all’ammissione di rigenerazione di termini cosiddetti “obsoleti”, svegliati da “sonno lungo” attraverso uno stile potente o sottile.
Il viaggio nell’essenza artistica di Konstantinos Kavafis non può che continuare.
Alessandra
Carpino
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